Conclusa la 2ª Festa diocesana delle Comunicazioni Sociali

Il 2 Dicembre, con la chiusura della 2ª Festa diocesana della Comunicazione e la proiezione del film ‘Una sconfinata giovinezza’ del regista Pupi Avati, è stato contemporaneamente dato il via al 2° Percorso cinematografico Familiar-mente, al quale  quest’anno, così come anche alla Festa della Comunicazione, è stato dato come tema quello della sofferenza causata dalla malattia, non vista però come una realtà che limita la vita di chi ne è ferito e dei suoi familiari, ma della sofferenza considerata come un  limite che unisce, in maniera ancora più salda e intima, le vite di chi in qualsiasi maniera si trova a fare i conti con essa.  
 
Nel film di Pupi Avati i protagonisti Lino e Chicca, dopo aver vissuto venticinque anni di vita matrimoniale per lo più serena, resa ancora segretamente più salda dall’intimo dolore per l’impossibilità di avere dei figli, si trovano inaspettatamente catapultati in una nuova sofferenza, che mette forse stavolta ancora più a dura prova il loro matrimonio. Lino, infatti, dopo avere accusato alcuni disturbi di memoria che stanno pregiudicando la sua vita sia lavorativa che familiare, alla luce di attenti esami medici rivela l’insorgenza sempre più invadente della patologia di Alzheimer. Ma l’argomento  che il regista nel suo film vuole trattare non è la malattia con tutti i suoi risvolti medici e sociali ma l’intimo e faticoso percorso che Chicca deve compiere per riuscire ad arrivare a quel punto di empatica comunicazione che le permetterà di stare ancora accanto a quell’uomo che tanto ama, ‘regredendo con lui fino alla sua infanzia’, come dice lo stesso regista. Così il profondo legame fra i due coniugi che dura da anni e che ha superato tante tempeste diventerà in Chicca ancora più forte e resistente perché arricchito dalla trasformazione dell’amore coniugale in amore filiale, quell’amore filiale che Chicca non aveva mai potuto provare e riversare su nessuno. Solo così  questa donna forte e caparbia troverà il modo per comunicare ancora il suo amore al marito evitando che questo sentimento venga offuscato o cancellato dalla paura causata da quei involontari gesti di violenza che Lino scaglierà su di essa tutte le volte che sarà assalito dal timore di perdere l’amore della moglie, che niente però, nemmeno la paura può cancellare.

Ma il film di Pupi Avati non vuole sono farci riflettere su questo doloroso percorso che porta alla serena accettazione della malattia  ma anche sull’indifferenza che, purtroppo, investe da sempre questa realtà. Basta guardare poche scene del film in cui compiono i familiari di Chicca in tutta il loro cinismo, e spesso nella loro insofferenza verso  Lino e il suo dolore per riconoscersi facilmente in una di loro. Oggi purtroppo la malattia è diventata un tabù, ci fa paura, ci da fastidio, a volte scombina i nostri piani ordinati e programmati a puntino e per questo motivo non se ne parla quasi mai o quando se se ne parla lo si fa con un sentimento di distaccata compassione. La nostra società, nella quale le categorie del benessere e della qualità della vita sono prevalenti rispetto al valore stesso della vita, mette il malato e i suoi familiari in una condizione che aggiunge, al malessere già generato dalla malattia, disagio, impotenza, solitudine e senso di inutilità. Per questo e ‘importante, anzi essenziale, nei nostri ambienti parrocchiali, nelle nostre comunità venga affrontato sempre più da vicino questo argomento per fare in modo che ogni famiglia, cellula della società, si trovi preparata ad affrontare questa realtà perché non c’è famiglia che prima o poi non sia toccata dalla dura prova della malattia, della sofferenza e della morte. Da qui scaturisce la necessità di una maturazione culturale che porti ad un ripensamento della realtà della malattia a partire dalla persona e dalle sue relazioni fondamentali.