VERSO IL BICENTENARIO DI FONDAZIONE DELLA NOSTRA DIOCESI

Non c’è nessun procedimento in atto relativo alla chiusura della nostra diocesi.
Il Consiglio Pastorale e il Consiglio Presbiterale diocesani hanno avuto a tema dell’ordine del giorno la celebrazione dei duecento anni dalla fondazione della nostra diocesi avvenuto il 17 marzo 1817. Vista l’imminenza dell’evento e la celebrazione dell’anno giubilare abbiamo voluto porre alcune domande al nostro Vescovo.

Cosa può significare per il popolo di Dio celebrare i duecento anni della fondazione della nostra diocesi?

La prima cosa che mi viene di dire è che noi raccogliamo l’eredità dei nostri padri, noi siamo in qualche modo le nostre radici. Per duecento anni 14 vescovi, insieme ai loro presbiteri e a tutto il popolo di Dio, hanno lavorato per la comunione nelle parrocchie dei vari paesi e l’unità del nostro territorio. Non possiamo non avere un animo grato verso coloro che ci hanno amato, annunziato la parola e formato nella spiritualità e nella comunione. Se noi possiamo fare oggi l’esperienza di Dio e del suo amore è grazie ha coloro che ce lo hanno testimoniato

Potrebbe sembrare che il bicentenario sia un questione che riguarda solo il passato?

Assolutamente no. Già fin dalla mia prima lettera pastorale La sfida del partire insieme indicavo la necessità di un cammino di popolo che ci facesse scoprire la bellezza della fede e la gioia rinnovata dell’appartenenza alla nostra Chiesa. Ogni celebrazione, e a maggior ragione un bicentenario, deve saper leggere con animo grato il passato, scrutare i segnali di Dio nel presente e avere lo sguardo proiettato in avanti con occhi audaci e profetici per intuire il disegno di Dio per il nostro futuro.

Ci aiuta un po’ a leggere il nostro presente?

Nel nostro presente Dio sta scrivendo cose belle, attraverso le lettere pastorali abbiamo constatato la ricchezza delle nostro popolo e delle nostre comunità e abbiamo tracciato passi e gesti concreti che stanno scandendo ulteriormente il nostro cammino. Dopo il Sinodo abbiamo fatto alcune scelte comunitarie significative che qui semplicemente elenco:

l’iniziazione cristiana dei ragazzi secondo il metodo catecumenale, modello invidiato e meta per il cammino delle altre diocesi della regione; la proposta e l’accompagnamento degli incontri con i genitori dei bambini; le due missioni popolari ai giovani e agli adulti; la nascita e il percorso di gruppi per la riscoperta della fede, che da poco, al terzo anno di cammino, hanno vissuto la tappa del pellegrinaggio in cattedrale e della rinnovata adesione alla Chiesa; il percorso di fede per i fidanzati, disteso durante tutto l’ anno e proiettato alla riscoperta della bellezza dell’amore e della presenza di Dio nel loro amore; il valore dato alla Cresima degli adulti come itinerario di fede; l’accento posto sulla famiglia, un progetto già avviato di cui la mia prossima lettera pastorale Il Respiro dell’amore sottolinea la necessità e l’urgenza per riconoscerla soggetto indispensabile in tutta la pastorale; il microcredito alle imprese attraverso il Progetto Policoro che è diventato modello in campo nazionale per tante altre diocesi d’Italia. Tutto questo e tanto ancora – la vivacità delle parrocchie, la ricchezza di movimenti, associazioni e gruppi, il volontariato, il servizio delle caritas – costituiscono la bellezza della nostra Chiesa pur nelle ferite del nostro territorio.

Ecco parliamo delle ferite del nostro territorio, lei è intervenuto parecchie volte su questo problema ed ha parlato spesso di desertificazione e abbandono.

Sì, ho sentito forte e urgente schierarmi dalla parte del nostro popolo, par far sentire la voce, la solidarietà e la partecipazione ai disagi e alle difficoltà gravi che lo stanno attraversando ed ho sottolineato con fermezza che non è giusto che proprio i più poveri e i più deboli debbano essere privati dei mezzi e delle strutture necessarie per una vita dignitosa. Siamo fortemente penalizzati, siamo abbandonati.

Lei ha parlato di desertificazione e abbandono e alcuni hanno scritto anche dell’abbandono della Chiesa. Si è titolato sui giornali sulla chiusura della nostra diocesi. Cosa ci dice in merito?

Applicare gli schemi sociali e civili alle dinamiche della Chiesa è del tutto inappropriato e genera confusione. Al momento non c’è nessun procedimento in atto relativo alla chiusura della nostra diocesi. La Santa Sede prima di prendere delle decisioni interpella la Conferenza Episcopale Italiana poi la Conferenza Episcopale della Regione e quindi chiede una relazione al Vescovo. Di tutto questo non è avvenuto nulla e nulla si prospetta all’orizzonte.

Ma in realtà anche Papa Francesco ha detto che i Vescovi in Italia sono troppi?

È vero, il Papa viene da una lettura territoriale dell’America Latina che è molto differente dalla nostra e quindi si capisce la sua richiesta. Ma questo non significa chiudere le diocesi solo secondo parametri numerici, ci sono altri parametri fondamentali per la Chiesa che sono attenzionati e presi in considerazione come per esempio la vivacità della diocesi, le condizioni e le asperità del territorio, la capillarità nel servizio dell’evangelizzazione, l’impegno e la dedizione per i poveri e i bisognosi. Su questi versanti credo abbiamo tanti numeri a nostro favore.

Possiamo guardare con serenità al futuro della nostra Chiesa?

Dobbiamo avere fiducia. Lo Spirito Santo ci traccerà la strada. Il futuro lo costruiamo nella fedeltà alla Parola e tessendo con decisione la comunione e la solidarietà nelle nostre comunità e nel nostro territorio. Camminiamo insieme e testimoniamo la bellezza del Vangelo.