Convegno Tetto Ligneo della Cattedrale

Nel giorno della festività di S. Nicola, Vescovo di Mira, Patrono della Diocesi e della città di Nicosia, per desiderio del Vescovo S.E. Mons. Salvatore Muratore, è stato organizzato e moderato da Don Santo Paternò, Direttore dell’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali Ecclesiastici, e dalla commissione che lo collabora, il convegno sul tema: – Il tetto ligneo della Cattedrale di Nicosia – lettura teologico-liturgica e interventi di restauro’, che si è tenuto presso la sala convegni del Museo Diocesano.
Dopo i saluti del vescovo Mons. Salvatore Muratore, del sindaco di Nicosia, Antonello Catania, e dell’arch. Fulvia Caffo, Soprintendente ai BB.CC.AA. della Provincia di Enna, c’è stata la relazione d’eccezione della giornata  ‘Lettura Teologico-Liturgica del soffitto ligneo dipinto’  di Mons. Crispino Valenziano, ordinario di Antropologia Liturgica e di Spiritualità Liturgica al Pontificio Istituto Liturgico Sant’Anselmo e membro del Pontificio Consiglio per i Beni culturali della Chiesa e della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Considerato, a ragione, uno dei massimi esperti a livello mondiale in arte sacra, egli non ha deluso le attese del  numeroso interessato uditorio e ha dato degli straordinari spunti per una ‘Lettura Teologico-Liturgica del soffitto ligneo dipinto’.
Mons. Valenziano ha esordito ricordando di essersi interessato al ‘nostro’ tetto ligneo dagli anni ’90, quando venne a Nicosia con il ‘Consiglio Regionale dei Beni Culturali’ nel momento in cui iniziarono a manifestarsi i problemi di conservazione e restauro dell’opera. Da allora questo soffitto, dice il relatore: ‘mi ha ‘preso’ profondamente e totalmente in tutti i momenti liberi, perché mi si è fissato,  da diversi punti di vista’, poiché si tratta di un’opera che ha ‘una sua identità’ ed è l’espressione ‘cultuale di ‘quella’ cultura’. ‘Cultuale e cultura hanno la stessa radice ‘colo’ ovvero ‘coltivazione’. Quindi ‘la coltivazione di un’opera di bellezza, di culto, vuol dire vedere che rapporto c’è in questa ‘coltivazione’. Se è cultura cristiana non puoi fare altro che andare a vedere di che si tratta. Se non sei teologo, biblista e liturgista, guarda l’opera d’arte, è tuo diritto (‘), ma prima di andare oltre, informati. Se no si rischia parecchio. Questa non è, per carità, una lezione che io vorrei dare agli storici dell’arte, tutt’altro. Io ammiro il loro lavoro. L’identità è del bene e il bene è tutto quello che gli storici dell’arte ci dicono e i giudizi che dell’arte ci danno. Il problema è sapere che cosa è, come si chiama. Quindi il problema non sono le ‘opinioni’. Sono le chiavi di lettura dell’opera. Oggettivamente parlando. Sulle chiavi di lettura poi la musica si può sviluppare in tanti modi. E dico che: non si può parlare di una iconografia, di una ‘scrittura di icone’, se prima non si è sicuri della sua ‘iconologia’.
Il soffitto dipinto di Nicosia non ha nulla di casuale, tutto è pensato e finalizzato alla trasmissione di un messaggio ben preciso. Non bisogna mai dimenticare ‘che qualunque sia la cultura, sino a tutto il ‘600 inoltrato, opere d’arte cristiane cultuali senza la presenza del cosiddetto ‘consulente teologico’ non ne esistono!’. (‘) – Io ho letto tutto ciò che mi avete dato ed è chiaro che l’autore che avete più volte citato, De Francisco, l’ho apprezzato. Ma dal punto di vista di cui sto parlando, (‘) è un altro canto, un altro coro. L’iconologia è alla  base di un’iconografia. Questo a noi ci viene prima di tutto dall’antichità cristiana: è stato detto nel 787. In quell’anno si celebra il Concilio Niceno II  che è il concilio anticonoclasta; e con l’occasione dell’anticonoclastia si stabilisce che cos’è, come si fa, cosa indica, come si legge l’opera dell’arte cultuale cristiana. Quindi per chi non conosce quel Concilio, è come se io volessi parlare di storia dell’arte senza sapere leggere e scrivere’. (‘ ) Quel Concilio disse che l’opera dell’arte cultuale cristiana sta su questi termini, presero a prestito il versetto di un salmo. Il salmo dice: ‘Sicut audivimus, sic vidimus in civitate dei nostri’ (come abbiamo udito, cosi abbiamo visto nella città del nostro Dio)’.
Detto ciò il relatore riconosce che il tema è molto complesso e per affrontarlo adeguatamente sarebbe necessario un simposio di almeno una settimana in cui dibattano e si confrontino diverse professionalità: teologi, liturgisti, biblisti, storici dell’arte sacra, pedagogisti e catecheti. Passando ad illustrare brevemente l’iconologia delle pitture sottolinea che il ciclo pittorico risponde ad una logica, ad un disegno didattico pedagogico e catechetico ben preciso. Le figure fantastiche, gli animali, le piante, i personaggi e il modo di rappresentarli sono tipiche del periodo storico di riferimento. Non vi è alcuna commistione o sincretismo tra sacro e profano, ma si tratta di un simbolismo che  troviamo nei bestiari monastici e negli erborai medievali. Il tema conduttore è la storia della salvezza. Le lettere dell’alfabeto rappresentate nel soffitto e le fasi lunari alludono al calcolo della data in cui celebrare la Pasqua e una delle lettere è il ‘ventiquattresimo segno posto tra la Y e la Z’ (cfr. De Francisco, pag. 70) che non ‘serve soltanto come riempitivo’ ma è la stilizzazione del Tow paleoebraico ovvero la Tau greca. Questo simbolo ha un significato mistico. Nel cristianesimo è il segno della salvezza: nell’Apocalisse di Giovanni i salvati, vestiti di bianco, vengono segnati dall’Angelo con il Tau (Ap. 7, 2-4). In oltre, per la sua forma il Tau è stato per secoli il segno simbolico della teologia della croce e ancora oggi lo è per l’Ordine monastico Francescano. Nell’ebraismo, i sacerdoti e i dottori della legge avevano progressivamente elaborato un’esegesi per ogni lettera dell’alfabeto. Nel III secolo parecchi talmudisti furono consultati da Origene a proposito dell’interpretazione del Tau di Ezechiele (Ez. 9,4). Secondo alcuni, il Tau, significava fine, conclusione, compimento dell’intera Parola rivelata. Per altri invece, prima lettera della parola Torah, significava l’insieme di quelle leggi che portavano alla salvezza.
Nella carena centrale del tetto ligneo sono rappresentati alcuni santi e martiri tra cui Sant’Agostino che è vestito degli abiti propri dei Canonici Regolari Agostiniani. Ciò indica, secondo Velenziano, che questa congregazione ebbe un ruolo significativo nella committenza o nella consulenza teologica dell’opera. O, ancora, ebbero un ruolo culturale nella società e nel territorio del tempo.
Per finire, l’incoronazione della Vergine, la bellissima tavola restaurata ed esposta per questa occasione nella sala ove si è tenuto il convegno, rappresenta il completamento del ciclo pittorico e della narrazione biblica e teologica che vi sottende. Il dipinto è iconologicamente molto vicino alla famosissima e coeva “Incoronazione della Vergine” di Gentile da Fabriano, realizzata su tavola con tecnica a tempera intorno al 1422-23.
L’incoronazione di Maria, riporta ai testi biblici adoperati nella liturgia per esplicitare il senso dell’evento: la veste luminosa della Vergine, “donna vestita di sole” (Apoc. 12,1), o l’apparato regale della scena dell’Incoronazione, evoca la poesia del Salmo 44,14-15, “la figlia del re è tutta splendore, gemme e tessuto d’oro è il suo vestito. E’ presentata al re in preziosi ricami…”.
La scena sta a significare che tutti siamo chiamati alla santità. Infatti, spiega mons. Valenziano, l’aureola dipinta attorno al capo dei santi originariamente conteneva il nome del personaggio rappresentato. Per cui ciascun credente, che entra nel tempio del Signore ed accetta di seguire le sue vie, sappia che, come Maria, inizia un percorso di glorificazione, di grazia e di amore che lo condurrà alla salvezza promessa.   L’incoronazione riguarda ciascuno.
Mons. Valenziano ha concluso che la pittura cultuale cristiana non va vista ma ‘ascoltata’ perché mette il credente a contatto con la parola di Dio in maniera diretta ed altamente ecclesiale. I “soggetti” illustrati sono, per la maggior parte, biblici, fino al punto che San Gregorio Magno affermava: “ciò che lo scritto ottiene a chi legge, la pittura fornisce agli analfabeti che la guardano”.
Nel pomeriggio, altrettanto preziose, sono state le relazioni dell’arch. Rosa Oliva, responsabile unico del procedimento sulle ‘Normativa e modalità d’intervento per il restauro del Tetto ligneo, dell’arch. Gaetano Renda, Progettista e Direttore dei lavori di restauro del complesso monumentale della Cattedrale, su ‘C’era una “volta”… e c’è ancora: il tesoro negato’ e dell’arch. Arturo Alberti, progettista delle opere esecutive, su ‘Il Tetto ligneo e l’architettura della Chiesa Cattedrale’ ,
che hanno compiutamente illustrato le modalità e le fasi del complesso restauro delle pitture e della struttura del prezioso Tectum depictum. Restauro che ha regalato alla nostra comunità diocesana la possibilità di ‘ammirare’ e contemplare i preziosi dettagli iconografici prima poco leggibili.
Infine, sia da parte della Soprintendenza che del Sindaco e dell’Ufficio Diocesano per i BB.CC.EE. è stato assicurato che si stanno vagliando le più opportune modalità per rendere fruibile a tutti questo prezioso ‘tesoro nascosto’.